Negli ultimi anni Google ha trasformato profondamente il modo in cui presenta gli annunci a pagamento nei risultati di ricerca. Un tempo gli annunci sponsorizzati erano ben evidenziati – ad esempio con sfondi colorati o etichette vistose – mentre oggi appaiono quasi mimetizzati tra i risultati organici.
Questa evoluzione non è casuale: Google sta rendendo gli annunci meno riconoscibili come pubblicità, facendo sì che molti utenti li confondano con risultati “normali”. Per gli imprenditori italiani che investono in visibilità online, è fondamentale capire cosa sta accadendo e perché. In questo articolo esploreremo i dati aggiornati su come gli utenti interagiscono con gli annunci Google Ads (rispetto ai risultati organici), l’aumento delle ricerche zero-click (senza alcun clic verso siti esterni) e il calo dei clic sugli annunci.
Analizzeremo anche le motivazioni strategiche di Google nel “nascondere” gli annunci e l’impatto di questa evoluzione sulle strategie SEO nel 2025-2026. L’obiettivo è aiutare l’imprenditore a comprendere l’importanza della SEO in questo nuovo contesto dominato da risultati sponsorizzati poco distinguibili e da una SERP sempre più autosufficiente, concludendo con consigli pratici e una call to action per agire.
I dati sul comportamento degli utenti: annunci vs. risultati organici
Prima di tutto, guardiamo i numeri per capire come gli utenti reagiscono di fronte agli annunci Google rispetto ai risultati organici. Studi recenti indicano chiaramente una tendenza: la maggior parte delle persone ignora gli annunci a pagamento. In particolare, tra il 70% e l’80% degli utenti salta deliberatamente i risultati sponsorizzati e si concentra esclusivamente sui risultati organici.
Questo significa che su 10 persone che cercano qualcosa su Google, circa 7–8 evitano di cliccare sugli annunci e preferiscono i link “non a pagamento” che ritengono più rilevanti o affidabili.
Allo stesso tempo, stiamo assistendo a una crescita del cosiddetto traffico “zero-click”. Oltre la metà delle ricerche globali oggi non genera alcun clic verso siti esterni. Già nel 2023 più del 58% delle query su Google terminava senza che l’utente cliccasse nessun risultato, e nel 2024 in Europa questa quota è salita vicina al 60%.
In altre parole, in circa 6 casi su 10 l’utente trova la risposta direttamente sulla pagina dei risultati (grazie a snippet, pannelli informativi, AI Overview, ecc.) oppure abbandona/quasi subito la ricerca senza proseguire. Di conseguenza, si riducono le opportunità di portare traffico organico al proprio sito.
D’altro canto, la percentuale di utenti che cliccano sui risultati organici tradizionali (non sponsorizzati) mostra segnali di calo. Ad esempio, in Europa il tasso di utenti che cliccano su un risultato organico è sceso dal 47,1% al 43,5% tra marzo 2024 e marzo 2025. Questo calo riflette una SERP più affollata di elementi interattivi e risposte immediate che “rubano” l’attenzione (e i clic) agli elenchi organici classici.
E gli annunci a pagamento? Quanti utenti cliccano effettivamente sui risultati sponsorizzati? Le statistiche mostrano che rappresentano ancora una minoranza esigua dei clic totali.
Diverse analisi confermano che solo una piccola fetta degli utenti (tipicamente il 20-30%) interagisce con gli annunci, mentre la grande maggioranza li ignora. Una ricerca approfondita condotta da SparkToro/Datos nel 2024 ha rilevato che i clic sui link sponsorizzati costituiscono appena circa l’1% di tutti i clic effettuati dagli utenti dopo una ricerca Google.
Questo dato è aggregato su tutte le query (considerando che meno del 20% delle ricerche mostra annunci) e suggerisce che, quando anche gli annunci sono presenti, il loro CTR medio potrebbe aggirarsi solo intorno al 5-10%. In sintesi, su 100 ricerche fatte, le probabilità che un utente clicchi su un annuncio sono estremamente basse se comparate ai clic sui risultati organici.
Per riassumere questi insight chiave, ecco alcune percentuali sul comportamento degli utenti nelle ricerche Google:
| Comportamento dell’utente su Google | Percentuale (dati recenti) |
|---|---|
| Utenti che ignorano gli annunci a pagamento (preferendo risultati organici) | ~70–80% |
| Ricerche senza alcun clic (zero-click, utente non clicca nessun risultato) | ~58–60% |
| Utenti che cliccano su un risultato organico (non sponsorizzato) | ~40–45% |
| Clic che portano su un annuncio a pagamento (quota di tutti i clic effettuati) | ~1–2% |
Da notare: in mancanza di studi specifici solo sull’Italia, questi valori si basano su ricerche internazionali (USA, UE) e possono essere considerati rappresentativi anche del comportamento medio degli utenti italiani, data la diffusione universale di Google.
Inoltre, va evidenziato che persino in Europa gli utenti mobile sembrano leggermente più propensi a cliccare sugli annunci rispetto agli americani (si stima circa un 50% in più di probabilità di click sugli annunci da parte dei searchers europei su dispositivi mobili), ma si tratta comunque di differenze relative: la tendenza generale vede in ogni caso prevalere nettamente l’attenzione verso i risultati organici.
Queste cifre spiegano perché l’attenzione degli utenti si sta spostando e perché ottenere visibilità organica è sempre più importante. Meno persone cliccano sugli annunci e sempre più ottengono risposte immediate senza visitare alcun sito.
Di conseguenza, il traffico organico complessivo dai motori di ricerca sta calando, ed è una realtà con cui aziende e marketer devono fare i conti. Alcuni esempi concreti? Secondo un report di Search Engine Land basato su dati SimilarWeb, nei primi mesi del 2024 grandi portali di contenuti in inglese hanno subito forti perdite di traffico organico da Google proprio a causa dell’effetto “zero-click” e delle nuove pagine di risposta AI:
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WebMD (settore salute): –23% di traffico organico nel Q1 2024.
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Healthline (informazioni mediche): –26% di visite organiche su query informative.
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Investopedia (finanziario/educational): –18% di traffico organico su contenuti informativi.
Report 2024 di: https://searchengineland.com/
Queste percentuali indicano cali significativi nel giro di poco tempo, attribuiti al fatto che gli utenti trovano subito risposte (fornite direttamente da Google tramite snippet o AI) e non cliccano più sui risultati tradizionali di quei siti. Al contrario, piattaforme come Reddit hanno addirittura visto aumentare la visibilità, poiché le nuove AI Overview spesso citano discussioni dai loro thread (generando curiosità e quindi clic). Ma per la maggior parte dei siti web, meno clic significa meno visite, meno opportunità di convertire utenti in clienti o lead.
Insomma, il quadro è chiaro: oggi circa 3 utenti su 4 ignorano le inserzioni sponsorizzate, oltre la metà delle ricerche finisce senza alcun clic, e i clic sui risultati organici (soprattutto se non si è in primissima posizione) sono in flessione.
Per gli imprenditori, questo significa che affidarsi solo alla pubblicità a pagamento non basta – anzi, rischia di far perdere una grossa fetta di pubblico che volutamente la evita – e che al tempo stesso ottenere traffico organico è più difficile di un tempo, perché Google trattiene gli utenti sulle proprie pagine. Vediamo allora perché Google sta attuando queste strategie e quali sono i suoi obiettivi.
Perché Google sta “nascondendo” gli annunci?
Viene spontaneo chiedersi: per quale motivo Google rende i suoi annunci meno visibili, quasi “camuffati” da risultati organici? Dopotutto, una maggiore chiarezza aiuterebbe l’utente a distinguerli… La risposta, in realtà, è legata agli interessi economici e strategici di Google. Ecco le principali motivazioni dietro questa scelta:
Aumentare i clic sugli annunci e i ricavi pubblicitari:
Google ottiene la stragrande maggioranza dei propri ricavi dalla pubblicità. Negli anni, molti utenti hanno sviluppato una sorta di banner blindness (cecità agli annunci), ignorando automaticamente tutto ciò che sembra una pubblicità evidente.
Rendendo gli annunci meno distinguibili dai risultati normali, Google riesce a incrementare il tasso di clic sulle inserzioni sponsorizzate, catturando anche l’attenzione di utenti che altrimenti le salterebbero.
In pratica, più gli annunci “sembrano” contenuti organici pertinenti, più persone ci cliccano sopra senza percepirli immediatamente come pubblicità – e questo si traduce in maggior traffico a pagamento per gli inserzionisti e maggior guadagno per Google.
L’obiettivo di Big G è chiaro: massimizzare il coinvolgimento con gli annunci integrandoli armoniosamente nella pagina dei risultati.
Mantenere l’esperienza utente fluida (e trattenere l’utente su Google):
ufficialmente, Google motiva questi cambiamenti come miglioramenti all’esperienza di ricerca. Nel 2023 ha introdotto un nuovo design in cui gli annunci testuali sono raggruppati sotto un’unica etichetta “Sponsored results” (in italiano “Risultati sponsorizzati”) che resta visibile in cima alla pagina anche durante lo scroll.
Inoltre, ha aggiunto un pulsante “Hide sponsored results” per permettere agli utenti di nascondere gli annunci con un clic e vedere solo risultati organici.
Queste mosse sono state presentate come funzionalità per facilitare la navigazione e dare più controllo all’utente. In realtà, c’è anche un’astuta ragione strategica: raggruppando gli annunci in un blocco uniforme, Google può mostrare fino a quattro annunci in cima senza “staccarli” troppo dal resto – così l’utente scorre la pagina vedendo un elenco continuo di link, all’interno del quale gli annunci sono segnalati solo da quella sottile intestazione generale.
L’esperienza appare più pulita e coerente, e l’utente medio potrebbe non accorgersi immediatamente che i primi risultati sono tutti a pagamento. Google vuole evitare che i banner pubblicitari siano percepiti come elementi intrusivi o separati; preferisce un’integrazione quasi organica degli annunci, in modo da trattenere gli utenti sulle sue pagine e indirizzarli dove conviene.
Va detto che Google è anche incentivato a fare così dalla concorrenza e dal timore di perdere utenti: se la SERP fosse troppo carica di pubblicità lampanti, l’utente potrebbe rivolgersi ad altri strumenti (ad esempio, oggi, le chat AI per alcune risposte).
Integrando invece gli annunci con discrezione, Google cerca di non far percepire la “pesantezza” pubblicitaria e di mantenere alta la fiducia nell’efficacia del motore di ricerca. In sintesi, un design più omogeneo serve sia a non disturbare l’utente sia a massimizzare i click involontari sugli annunci, in un delicato equilibrio.
Adeguarsi (minimamente) alle normative senza perdere vantaggi:
un altro fattore sono le pressioni normative. In Europa, ad esempio, leggi come il Digital Services Act (DSA) richiedono maggiore trasparenza sulle inserzioni online e la possibilità per gli utenti di identificare e gestire i contenuti sponsorizzati. Google ha dovuto quindi rendere più esplicite le etichette degli annunci.
La nuova dicitura “Sponsorizzato” fissa in alto alla SERP e il tasto per nascondere gli annunci lanciati globalmente nel 2023 rispondono anche a queste richieste.
Tuttavia, si potrebbe dire che Google ha fatto il minimo indispensabile: ha reso la scritta “Risultati sponsorizzati” un po’ più evidente rispetto al passato, ma continua a presentare gli annunci in forma quasi identica ai risultati organici.
Già nel 2020 documentazioni e guide notavano che “gli annunci sulla rete di ricerca di Google sembrano simili ai risultati organici non pagati, ma hanno la scritta ‘Annuncio’ o ‘Sponsorizzato’ accanto”.
Quella scritta nel tempo è diventata sempre più discreta: siamo passati da etichette colorate o icone ben visibili, a una semplice scritta nera “Annuncio” a fianco dell’URL, fino all’attuale etichetta “Sponsorizzato” posizionata in alto a sinistra della sezione risultati.
Google quindi soddisfa formalmente l’obbligo di segnalare la pubblicità, ma lo fa in modo da non ostacolare l’engagement: la maggior parte degli utenti focalizzati sulla ricerca delle informazioni potrebbe non notare affatto la piccola indicazione.
Non a caso, in passato Google ha ricevuto critiche proprio perché gli annunci erano diventati troppo simili ai risultati organici, creando potenziale confusione per gli utenti meno esperti.
L’ultimo redesign tenta di bilanciare queste critiche (offrendo un’etichetta cumulativa più grande e un’opzione di opt-out visivo per gli annunci) senza però rinunciare ai benefici di averli mescolati al resto dei risultati.
In breve, Google “nasconde” gli annunci per strategia: vuole che gli utenti ci clicchino di più credendo di trovare risultati rilevanti, mantenendo al contempo un’esperienza utente gradevole e conforme alle regole.
Dalla prospettiva di Google, questo significa maggior monetizzazione e utenti che rimangono nell’ecosistema Google. Ma dalla prospettiva delle aziende e dei professionisti del marketing, significa dover fare i conti con una SERP molto più competitiva e ambigua, dove differenziare tra organico e sponsorizzato è meno immediato e dove soprattutto i risultati organici sono spinti sempre più in basso (o sostituiti da risposte istantanee). Vediamo quindi come questa evoluzione influisce sulle strategie SEO e cosa cambia nel presidiare la visibilità online.
Come cambia la visibilità e cosa succede alle strategie SEO
Le mosse di Google hanno una conseguenza diretta: cambiano le dinamiche di visibilità sulla pagina dei risultati e costringono a ripensare le strategie di SEO (Search Engine Optimization). Andiamo per punti, analizzando l’impatto concreto nel 2025-2026:
1. La prima pagina di Google è più “affollata” e meno cliccata:
Con annunci sponsorizzati integrati e risultati sempre più ricchi (mappe, pannelli informativi, snippet estesi, video, ecc.), ottenere un clic organico è diventato più difficile.
Anche posizioni che prima garantivano molto traffico (es. essere in cima ai risultati organici) oggi possono ricevere meno visite, perché sopra potrebbe esserci un blocco di 3-4 annunci non immediatamente riconoscibili come tali, oppure un box di risposta AI che soddisfa subito la query.
Gli studi mostrano chiaramente questo effetto: il CTR medio dei primi risultati organici è calato di oltre 30 punti percentuali quando in pagina sono presenti box informativi AI Overview.
In certi casi estremi i clic organici possono crollare fino al –64% dopo l’introduzione di snippet/overview che rispondono direttamente alla domanda.
Google sta “assorbendo” gran parte dei clic: l’utente ottiene la risposta e non sente il bisogno di uscire. Ciò significa che avere ottimi posizionamenti organici resta fondamentale ma non garantisce più il traffico di una volta.
Le aziende devono aspettarsi percentuali di click-through più basse e quindi una concorrenza più spietata per ogni visita organica guadagnata.
2. La SEO tradizionale deve evolvere (contenuti, intenti e nuovi KPI):
In uno scenario di zero-click e annunci camuffati, fare SEO non significa più solo “posizionarsi primo su Google”, ma posizionarsi nel modo giusto. Bisogna ottimizzare affinché il proprio risultato sia quello su cui l’utente decide comunque di cliccare, offrendo magari qualcosa in più rispetto alla risposta breve che Google fornisce.
Ad esempio, se Google mostra un frammento del nostro contenuto direttamente in SERP (es. un elenco puntato o una definizione), la nostra strategia SEO deve prevedere che l’utente abbia ancora motivi per visitare il sito – approfondimenti, dettagli ulteriori, esperienza utente migliore, ecc. Inoltre, conviene puntare su contenuti che Google non può sintetizzare facilmente: analisi originali, opinioni esperte, strumenti interattivi, approfondimenti molto recenti o locali. Parallelamente, le metriche di successo vanno riviste: il traffico organico puro in ingresso potrebbe diminuire, ma questo non significa necessariamente un danno al business se quello che conta (lead, conversioni, vendite) regge o cresce.
Alcuni dati sono incoraggianti: molte aziende, specialmente e-commerce, stanno registrando più conversioni e vendite nonostante cali di traffico organico, perché il traffico che ancora arriva dal motore di ricerca è più qualificato e intenzionato rispetto al passato.
In pratica, chi cerca e clicca ora è spesso un utente davvero interessato, dato che gli “sfogliatori casuali” magari hanno trovato risposta senza cliccare altrove.
Questo implica che la SEO deve allinearsi ancora di più con gli obiettivi di business: monitorare KPI come il tasso di conversione organico, il tempo di permanenza, l’engagement, anziché fossilizzarsi solo sul numero di visite. Una funnel più stretto può essere positivo se i visitatori che passano sono quelli giusti.
Pertanto, le strategie SEO odierne devono abbracciare un approccio più olistico: visibilità ovunque, non solo traffico. Ad esempio, se il nostro brand compare in un risultato di AI Overview (magari come fonte citata), ciò offre un valore in termini di branding e autorevolezza anche se l’utente non clicca subito.
Dobbiamo essere presenti dove l’utente cerca informazioni – a volte il clic avverrà più tardi nel percorso, o su un altro canale, ma intanto il brand è entrato nella considerazione dell’utente.
3. Focus su qualità, expertise e fiducia:
Con Google che “si prende” i contenuti altrui per rispondere direttamente, è fondamentale che i nostri contenuti siano riconosciuti come autorevoli e di qualità. Google sta infatti selezionando le fonti da mostrare nelle sue risposte avanzate privilegiando siti affidabili e con un certo E-E-A-T (Expertise, Experience, Authoritativeness, Trustworthiness).
Un beneficio collaterale è che se riusciamo a farci includere nei risultati in primo piano – ad esempio venendo citati in un box di risposta rapida o all’interno di un modulo AI – possiamo ottenere un boost di visibilità e persino di clic inaspettato. Uno studio recente ha evidenziato che i siti citati negli AI Overview in posizione prominente possono ricevere fino al +219% di clic rispetto a prima.
Ciò perché l’utente, vedendo il nostro brand come fonte di una risposta, potrebbe considerarlo autorevole e scegliere di approfondire cliccando proprio sul nostro link (specialmente se è nei primissimi posti delle fonti elencate).
In questo senso, fare SEO nel 2025 significa costruire autorità: produrre contenuti originali, guadagnare backlink e menzioni che attestino la nostra credibilità, curare la soddisfazione dell’utente (dwell time, risposte complete alle query, esperienza mobile ecc.). Un brand forte e riconoscibile avrà più chance di essere preferito dall’utente in una SERP affollata di opzioni ambigue.
Inoltre, un brand autorevole potrebbe essere premiato dallo stesso Google nelle sue scelte di snippet e overview. Al contrario, puntare su contenuti di bassa qualità o troppo generici oggi paga ancora meno: se il nostro sito non spicca per valore aggiunto, Google preferirà mostrare direttamente la risposta o indirizzare l’utente verso altri suoi servizi (Google Maps, YouTube, Google Shopping, ecc.).
4. Nuove tattiche SEO da adottare:
In risposta a questo scenario, i professionisti SEO stanno adattando le tattiche. Eccone alcune che ogni imprenditore dovrebbe valutare per il proprio sito:
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Ottimizzazione per gli snippet e feature:* Strutturare i contenuti in modo da poter essere catturati da Google come snippet (ad es. liste puntate, definizioni concise in cima agli articoli, markup schema.org per FAQ, recensioni, how-to). Se proprio Google dovrà mostrare una risposta immediata, meglio che derivi dal nostro sito (con tanto di link e menzione) piuttosto che da quello di un competitor. Questo almeno ci assicura una presenza visibile.
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Contenuti approfonditi e cornerstone: Creare sul sito sezioni di contenuto davvero approfondito, guide complete, analisi originali che l’utente vorrà leggere per intero. L’obiettivo è che, dopo aver letto la risposta breve su Google, una parte di utenti pensi “voglio saperne di più” e clicchi sul nostro sito per i dettagli. Ad esempio, Google può rispondere alla query “qual è l’aliquota IVA in Italia” con un semplice numero, ma se abbiamo una guida su come gestire l’IVA per le fatture estere l’utente professionale potrebbe aprirla comunque per capire procedure e consigli. Insomma, puntare su contenuti che risolvono bisogni complessi o che offrano prospettive e casi concreti aiuta a recuperare quei clic che altrimenti andrebbero persi.
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Esperienza utente e fidelizzazione: Dal momento che il traffico “facile” diminuisce, ogni visita conquistata va valorizzata al massimo. Significa ottimizzare le pagine per far sì che chi arriva trovi subito ciò che cerca (intento di ricerca soddisfatto) e magari offrire inviti all’azione che trasformino la visita in qualcosa di più (iscrizione a una newsletter, download di un PDF utile, registrazione a un webinar, ecc.). In questo modo, anche se l’utente non tornerà via Google (perché la prossima volta vedrà la risposta direttamente in SERP), avremo altri canali per raggiungerlo. La SEO dunque si integra con strategie di content marketing e CRM: costruire un rapporto diretto con il pubblico mitigando la dipendenza dal traffico organico volatile.
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Local SEO e opportunità di nicchia: A livello locale o di nicchia ci sono ancora opportunità significative. Ad esempio, nelle ricerche geolocalizzate (tipo “miglior ristorante piemontese a Torino”) Google mostra sì molti elementi (mappe, recensioni, ecc.), ma gli utenti in procinto di compiere un’azione locale spesso sfogliano più risultati. Curare la scheda Google Business Profile, ottenere recensioni positive e apparire nei Local Pack rimane cruciale. Allo stesso modo, per prodotti/servizi molto specifici o B2B, l’utente potrebbe bypassare le AI overview generiche cercando informazioni dettagliate: qui contenuti di qualità e SEO tecnica possono ancora fare la differenza nell’intercettare domanda qualificata.
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Monitoraggio costante e flessibilità: Infine, data la dinamicità dello scenario (Google testa e cambia layout di continuo), è vitale monitorare l’andamento delle proprie performance SEO con occhio nuovo. Ad esempio, tenere d’occhio il CTR organico sulle varie query: se notiamo cali drastici su alcune parole chiave, potrebbe essere perché Google vi ha aggiunto un modulo di risposta diretta o più annunci. In tal caso occorre reagire (modificando il tag title/meta description per renderli più accattivanti, o producendo un contenuto complementare). Bisogna anche espandere l’analisi oltre Google: ad esempio, se i motori di ricerca AI (Bing Chat, Google Bard, ecc.) iniziano a generare traffico – per ora è molto ridotto rispetto a Google – farsi trovare preparati indicizzando i propri dati su quelle piattaforme potrebbe dare un vantaggio futuro. In sintesi, la strategia SEO 2025-2026 deve essere agile e adattativa, pronta a cogliere nuove fonti di visibilità man mano che emergono.
In questo panorama in evoluzione, una cosa diventa chiara: la SEO è tutt’altro che morta, anzi è più importante che mai, ma va reinterpretata.
Se un tempo bastava scalare la SERP organica, oggi bisogna pensare in termini di search presence management: assicurarsi che il proprio brand e i propri contenuti siano presenti in qualunque formato Google li voglia mostrare (risultato organico classico, snippet in evidenza, risultato di shopping, video YouTube, ecc.), e che offrano abbastanza valore da convertire anche con meno visite totali.
Chi saprà muoversi in questo scenario continuerà a raccogliere i frutti della visibilità online; chi invece trascurerà la SEO pensando di poter “comprare” la visibilità solo con gli annunci, rischia di investire budget sempre maggiori con ritorni decrescenti, visto che una larga parte di utenti ignora quegli annunci o li trova meno affidabili.
Conclusione: la SEO è più importante che mai
In conclusione, l’evoluzione di Google verso annunci meno riconoscibili e risultati immediati significa una cosa per chi fa impresa: la SEO conta più che mai. In un contesto in cui l’utente medio filtra inconsciamente la pubblicità (o la vede ma non la distingue) e dove Google trattiene traffico per sé, comparire organicamente nei risultati – e farlo in modo autorevole – è fondamentale per non perdere opportunità.
La fiducia degli utenti nei confronti dei risultati organici resta superiore rispetto agli annunci, e questo è qualcosa che ogni imprenditore dovrebbe sfruttare a proprio vantaggio: investire in SEO significa investire nella credibilità online del proprio brand, oltre che nel traffico gratuito.
Naturalmente, la SEO del 2025 non è la SEO del 2015: richiede una strategia più raffinata, contenuti di qualità e un monitoraggio attento delle nuove tendenze (zero-click, AI generativa, integrazione degli annunci, ecc.). Ma proprio per questo offre anche un vantaggio competitivo a chi agisce per tempo.
Se il tuo concorrente sta spendendo tutto il budget in PPC ignorando la SEO, potrebbe star pagando per clic che molti utenti eviteranno comunque, e non sta costruendo un asset duraturo. Al contrario, l’ottimizzazione organica crea un patrimonio di visibilità che resiste ai cambi di algoritmo e che, anzi, beneficia nel lungo termine della fiducia degli utenti e di Google verso contenuti validi.
È il momento di chiedersi: la mia azienda è pronta per questa nuova era della ricerca su Google? Stai capitalizzando sulle opportunità attuali di SEO o rischi di scomparire dalla vista degli utenti? Se hai dei dubbi, l’azione migliore è informarsi e farsi affiancare da esperti. La SEO è più importante che mai, e non è qualcosa da lasciare al caso.
Se desideri capire come migliorare la tua visibilità organica in questo nuovo contesto digitale, contattaci per una consulenza SEO personalizzata.
Insieme analizzeremo lo stato attuale del tuo sito, studieremo i dati del tuo settore (in Italia e all’estero) e individueremo le opportunità per far emergere il tuo brand nonostante gli zero-click e gli annunci invisibili.
Approfitta oggi stesso di una prima consulenza gratuita: ti aiuteremo a costruire una strategia SEO solida, capace di portare traffico qualificato e clienti al tuo business anche nel 2025-2026. Non lasciare che Google detti tutte le regole – gioca d’anticipo puntando sulla SEO e trasforma questi cambiamenti in un vantaggio competitivo per la tua impresa!
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Fonti:
I dati e le statistiche citate nell’articolo provengono da analisi e studi recenti condotti da SparkToro/Datos, Search Engine Land SimilarWeb e altri osservatori del settore.
Informazioni aggiuntive sulle strategie e i cambiamenti di Google Ads sono tratte da comunicati ufficiali di Google e da articoli specialistici (Search Engine Journal, PushLeads).
Le statistiche sul comportamento degli utenti (come il dato 70-80% che ignora gli annunci) sono basate su ricerche riportate da Search Engine Land.
Case study e trend sulla diminuzione del traffico organico e sull’impatto delle AI Overview provengono da report nazionali e internazionali (Business Intelligence Group, SEOZoom).
In sintesi, le evidenze confermano che la direzione intrapresa da Google sta cambiando le regole del gioco, e le aziende devono attrezzarsi di conseguenza puntando su informazioni aggiornate e consulenze qualificate nel campo della SEO.







